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Storia e architettura

Tante sono le leggende e le tradizioni francescane in Umbria, ed ogni luogo si vanta di almeno una sosta o un passaggio di San Francesco.

San Gemini, può ritenersi privilegiata, perché il primo biografo del santo, Tommaso da Celano, testimonia della presenza qui del Serafino.1

“Un giorno, il beatissimo padre Francesco, passando per la diocesi di Narni, giunse in un paese che si chiama San Gemini, e predicandovi il Regno di Dio, ricevette ospitalità con tre frati da un uomo timorato e devoto di Dio, che godeva assai buona fama in quel luogo. Però la moglie dell’ospite era tormentata dal demonio, come ben sapevano tutti gli abitanti del territorio; e il marito pregò il beato Francesco per lei, confidando che potesse essere guarita con i meriti del Santo. Ma questi, preferendo nella sua semplicità di essere disprezzato piuttosto che ricevere gli onori del mondo con dar prova della sua santità, rifiutava di operare il prodigio. Finalmente, poiché si trattava della gloria di Dio, e molti ne lo pregavano, vinto dalle loro insistenze, acconsentì. Chiamò dunque i tre frati che erano con lui, e messone uno per ogni angolo della stanza, disse: ‹‹Preghiamo il Signore, fratelli, per questa donna, affinché Dio la liberi dal giogo del demonio, a lode e gloria Sua. Stiamocene ognuno in un angolo, affinché codesto maligno non riesca a sfuggirci e ad ingannarci rimpiattandosi››. Terminata l’orazione, il beato Francesco, in virtù dello Spirito Santo, si avvicinò alla donna, che si torceva miseramente e mandava orrende grida, e disse: ‹‹Nel nome del Signore nostro Gesù Cristo, per obbedienza ti comando, o demonio, di uscire da costei e non osare tormentarla più!››. Appena terminate tali parole, il demonio velocissimamente con tanto furore e fracasso uscì fuori , che il padre santo, per l’immediata guarigione della donna e l’obbedienza pronte del diavolo, credeva di essere beffato. E subito si allontanò di là con rossore, ciò operando la divina Provvidenza, affinché non fosse in alcun modo tentato di vanagloria. Onde avvenne, che, trovandosi un’altra volta e passare per il medesimo luogo il beato Francesco (e Frate Elia era con lui), quella donna, come seppe del suo arrivo, si alzò e si mise a correre per la piazza, pregandolo perché si degnasse di parlare.  Egli non voleva, sapendo che era la donna dalla quale aveva, per virtù divina, scacciato il demonio; ma essa baciava le orme dei suoi piedi, ringraziando Dio e San Francesco Suo servo, che l’aveva liberata dal potere della morte. Infine frate Elia riuscì a convincere il santo a parlare; ed egli da molti fu assicurato e della malattia e come s’è detto, e della guarigione”.

Questa testimonianza ebbe una grande ripercussione popolare che spiega il successo e la fama dei francescani a San Gemini. Sembrerebbe che, nel 1219 tra i primi cinque missionari inviati da San Francesco tra i Saraceni, ci fosse anche fra Pietro da San Gemini.

Si sa ben poco, attraverso gli atti ufficiali, dell’insediamento dei francescani nel castello; i due conventi, quello di San Francesco nel borgo e quello dell’Eremita sulla montagna sopra Carsulae, rispondono a pieno alla tipologia della diffusione del francescanesimo nell’età comunale.

La chiesa si trova fuori le mura della città più antica, uscendo dalla Porta Burgi ci ritroviamo di fronte ad essa. Quindi osserviamo come le tre chiese più grandi furono poste all’esterno del borgo medioevale.

San Francesco, come anche la Chiesa di San Gemine, sorge nella città rinascimentale, caratterizzata dall’ordine geometrico conferito da una sola strada dritta, fiancheggiata da poche viuzze perpendicolari, brevi e rettilinee. Si affaccia sulla più ampia piazza del paese, adorna di una fontana di oltre Novanta blocchi di pietra calcarea bianca, in travertino locale, commissionata nel 1883 e definitivamente conclusa nel 1884.

La scelta dell’ubicazione degli insediamenti religiosi, risulta molto interessante, perché è conseguenza del piano politico-urbanistico del Comune, in quanto nella fase conclusiva dello sviluppo edilizio castellano, sia gli edifici di culto posti nel borgo (abbazia di San Gemini e convento di San Francesco), che gli altri due (San Giovanni e Santa Maria Maddalena) a fianco dell’altra porta principale (Porta Tuderte), rispondevano all’esigenza di sicurezza sul piano difensivo e di coesione su quello sociale.

La chiesa fu fatta erigere, agli inizi del XIII secolo, dalla nobile famiglia Capitoni, la datazione fa anche riferimento alla Bolla papale di Nicolò IV del 5 giugno 1291, con la quale venivano concesse indulgenze in favore di alcune chiese francescane, tra cui la nostra.

Nel 1866 furono cacciati i Minori Conventuali, l’edificio fu adibito per molti anni a magazzino, il convento destinale alle scuole pubbliche e molti oggetti d’arte andarono dispersi.

La facciata è sobria, severa, unitaria, nonostante le varie fasi costruttive, evidenziate dalla diversità di colore e dell’orditura della cortina, ma soprattutto tipicamente francescana, col coronamento a capanna e l’originario rosone, sostituito successivamente da un finestrone2 e attualmente dall’occhio disadorno reinserito coi restauri del 1950. È ancora adornata di un pregevole portale ad arco acuto e strombato in alabastro calcareo con la presenza di marmo di Carrara, la diversità dei materiali impiegati si giustifica con la disponibilità del marmo di Carsulae. La sua pregevolezza sta proprio negli intagli che decorano i capitelli con fogliame rigoglioso, gli stemmi della Famiglia Capitoni, animali e figure umane, tipici elementi espressivi dell’età medioevale.

Tra le varie figurazioni iconografiche notiamo il drago con piedi umani, la lepre e gli uccelli rapaci, il leone che azzanna per un piede un uomo, scene dal linguaggio etico- metaforico, rappresentanti l’eterno dissidio tra salvezza e perdizione, la costante aspirazione alla virtù, nonostante le inevitabili cadute nel vizio.

Sembra un dono prezioso in una casa povera il portone ligneo, uno dei cinque più antichi d’Italia.3 È in legno di noce (488*257 cm, modellato sul portale coevo, si apriva inizialmente in tre parti: lunetta, due grandi ante e portella.

La superficie è divisa in 114 lacunari quadrangolari ottenuti con la sistemazione di nove assi verticali, intere (cinque interrotte per ricavare la portella) e sagomate ad esagono per l’inserimento dei moduli orizzontali. Sono ancora oggi funzionanti i cardini delle ante e della portella, mentre sono stati rimossi quelli della lunetta.

Sopra il portale, vi è lo stemma degli Orsini, che precedentemente fu tolto per cancellare il ricordo della loro signoria, e la nicchia, con l’immagine del Santo,4 ad arco a tutto sesto coronato con rosette ben spaziate.

Sovrasta il rosone lo stemma francescano con le braccia incrociate.

Per quanto riguarda i diversi temi di costruzione, abbiamo già detto che la facciata risale, almeno in parte, al XIII secolo, la nicchia non fu scavata prima del XIV secolo, invece è più tardo l’emblema francescano. Tuttavia l’insieme di questi elementi non tolgono coerenza alla facciata.

L’interno5è ancora più tipico, si stile gotico, ad una sola navata con sette arconi ogivali come sostegno al soffitto.

L’aula ha come prototipo la basilica superiore di Assisi, in cui gli elementi architettonici sono ridotti all’essenziale, le arcate rinunciano ai sostegni e si innestano nei muri laterali.

Di grande interesse è l’abside di forma pentagonale e d’impronta gotica, la conca absidale è scandita da nervature che cadono su colonnine, le quali, a loro volta, sono sorrette da sottili mensole da peduccio appuntito.

La struttura compositiva dell’abside sembra essere derivazione cistercense, infatti i capitelli e le mensoline sotto le nervature ripropongono il problema su come gli ambienti dei Minori si sia aperto ai dettami cistercensi.

Sulla parete sinistra appaiono delle arcate quattrocentesche che suggeriscono l’ipotesi di una navata laterale (o ambiente simile) che doveva integrare l’interno della chiesa.

Ma non bisogna tralasciare di considerare che, l’architetto di questa chiesa sembra aver voluto superare le consuetudini architettoniche italiane, mostrando un avvicinamento ai modi e allo stile d’oltralpe; la navata è larga m 10,5, l’interasse tra le arcate è di m 3,60 scarsi, quindi pari a un terzo della larghezza.

Sempre sull’esempio di Assisi, la chiesa è ricca di affreschi, ma a differenza della basilica assisiate, non vi è alcun limite, né disciplina compositiva.6 A destra, nella prima nicchia, troviamo affrescata “Santa Lucia tra San Giovanni Battista e San Rocco” del XVI secolo, nella seconda “Crocifisso tra San Girolamo e San Leonardo” del 1599, nella quarta “Incredulità di San Tommaso” e sul fondo “Santa Lucia” del XVI secolo. A sinistra vi è, entro una campitura ogivale del XIV secolo, una “Crocifissione” con S. Francesco e committente ai piedi della croce.

Prova della casuale disposizione degli affreschi è una interessante e bella “Madonna in Trono” del XIV secolo, confinata nel registro più in alto, fra i due arconi più vicini al presbiterio, quasi invisibile.

Tra gli affreschi è singolare che per ben due volte siano state dipinte le figure dei “SS. Cosma e Damiano”, ben riconoscibili per le teche dei medicamenti (uno dei due personaggi tiene uno strumento chirurgico) e l’abito dottorale (il tocco e il bavero di ermellino). Nella stessa zona absidale, vicino ai SS. Cosma e Damiano, e sempre del XV secolo, sono anche una “Madonna con il bambino, un santo vescovo e San Cristoforo” di un pittore certamente meno raffinato dell’autore di SS. Cosma e Damiano.

Ricordiamo anche il Crocefisso ligneo del XV secolo posto sull’altare Maggiore ora posizionato lateralmente dopo intervento di restauro operato a cura della Fondazione Cassa di Risparmio di Terni e Narni.

Gli affreschi di questa chiesa, pur essendo di pittori diversi7, hanno in comune i colori brillanti, intensi, non più medievali, il disegno netto e fermo, solo la già citata “Madonna in trono” mostra tracce dell’ultimo gotico fiorito.

Quindi il San Francesco di San Gemini, rappresenta un e vero e proprio documento della pittura umbra della fine del Quattrocento.

Testi a cura del Dott. Paolo Petroni

[1] ↑ “Vita di S Francesco (Prima e Seconda) e trattato dei miracoli”, a cura di F. Casolini, Assisi, 1961

[2] ↑ Durante i rifacimenti seicenteschi

[3] ↑ Sia il portone che il portale furono restaurati grazie all’Associazione Valorizzazione del Patrimonio Storico di San Gemini

[4] ↑ Affresco realizzato dal pittore Tullio Bertozzi nel 1950

[5] ↑ Con i restauri del 1950 fu restituito alla purezza delle sue linee attraverso l’asportazione di tutte le pesanti sovrastrutture barocche

[6] ↑ Il restauro avvenne grazie al mecenatismo dell’avv. Alberto Violati

[7] ↑ I singoli francescani non fecero prevalere la loro personalità, ma abbandonarono l’individualità per un linguaggio comune.

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