Notizie Storiche
Nella zona più antica del paese incontriamo diverse chiese, ma tra tutte la più importante è certamente quella di San Giovanni Battista.
Volendo percorrere la strada più breve si giunge a questa chiesa, attraverso la Porta Tuderte che apre il cammino al viandante lungo la Via Casventino, la Via del Tribunale e la Via Cataone che conduce verso la Rocca. Un’altra particolare strada che può essere percorsa in questa zona: la via della Mura, che permette l’accesso a una delle case che si affacciano a strapiombo sulle mura.
La strada tra la chiesa e gli edifici di fronte, che scende verso la porta e la porta stessa, sembrano scavate in un secondo momento. Infatti la facciata della chiesa non ha alcun collegamento con la via sottostante, tanto è vero che i restauratori dovettero costruire una rampa di scale per accedere al sagrato della chiesa.
Al di sotto del sagrato sono conservate delle tombe (ultimamente rese visibili e rivelate dai restauratori) che probabilmente dovevano continuare allontanandosi a poco dalla chiesa, e insieme alle tombe anche il sagrato doveva comprendere una zona più ampia, forse occupava proprio il luogo dove oggi c’è la discesa verso la porta.
Al lato opposto della chiesa, le case risalenti all’inizio del XIII sec., per la loro posizione sembrano suggerire il limite di un cortile. Le quote degli antichi usci di queste case sono corrispondenti alla quota della chiesa. È innegabile la discordanza tra la posizione della porta Tuderte e quella della chiesa.
Questa incompatibilità non riguarda tempi recenti, ma successe qualcosa che cambiò l’aspetto della città: la ormai famosa frana.
All’esterno di porta Tuderte si possono notare le opere di sostegno realizzate a seguito della franca. Il movimento del terreno lasciò addirittura scoperto il conglomerato che costituisce il sottosuolo di San Gemini; anche la Chiesa testimonia di questo cedimento e del crollo di alcune strutture murarie.
Le opere di sostegno appartengono al XIII sec., quindi la porta Tuderte non può essere stata ricostruita prima del 1250; ma precedentemente dove si trovava?
Probabilmente più in alto, a una quota che ben si accordava con quella della chiesa e degli edifici circostanti.
La strada che attraversava la porta poteva essere la Via Flaminia.
La porta Tuderte corrisponde quasi sicuramente alla “porta antiqua” citata in un documento del 1059. La sua arcata a monte corrisponde allo stile architettonico degli altri edifici datati al XIII sec.
Può essere definita, più che una porta, un androne; un particolare androne che presenta sulla parete sinistra, per chi sale, una porticina che potrebbe far pensare a un cunicolo fra le mura. Sicuramente ci ricorda la funzione di custodia affidata dal comune a una persona ritenuta idonea.
L’origine della chiesa di San Giovanni Battista sembra risalga al IV sec. d.C., quindi subito dopo l’editto di Costantino nel 313 d.C., ma non si è trovato ancora un riscontro concreto e fondato per poter parlare in maniera certa delle sue origini.
Il Milj collega la nascita di questa chiesa a un abituale uso dei primi secoli del cristianesimo, cioè di stabilire e ordinare vicino o poco distante dalle cattedrali il Fonte Battesimale, in cappelle o oratori dedicati al santo predicatore di Gesù Cristo: Giovanni Battista.
La pianta centrale era quella comunemente adottata per i battisteri, in quanto allora il battesimo veniva ministrato per immersione. Il primo esempio fu il Battistero di San Giovanni in Laterano a Roma, alla cui originaria pianta circolare fu sostituita una ottagonale, diventando, così, canonica per i successivi battisteri.
Ad essa si ispirò anche il nostro edificio di culto originariamente, appunto, a pianta ottagonale.
Il Milj considera la chiesa di San Giovanni Battista come la più importante del paese fino a quando vi fu la soppressione dell’Arciprete e dei Canonici.
Ipotizza che Costantino Vescovo di Narni (595/649) avesse ordinato dentro Casventino, nell’oratorio di S. Giovanni Battista , fondato dal Vescovo Vollusiano, il Sacro fonte e in quest’occasione , con l’autorità pontificia, avesse stabilito anche , per la ministrazione del battesimo, i necessari ministri, incardinandovi un Rettore in qualità di arciprete, con due Cappellani e due Diaconi, ai quali, col passare del tempo vivendo in comune, fu dato il titolo di Canonici. Quindi all’inizio fu chiesa Arcipresbiteriale, poi Collegiata e in seguito parrocchiale.
Dopo le barbare distruzioni subite dal paese, nel XII secolo la chiesa fu ricostruita e modificata. Inoltre a danno della sua superiorità , giurisdizione e del suo Arciprete , furono ordinate come parrocchie indipendenti da essa le chiese e badie di S. Gemine e S. Nicolò. Di conseguenza la chiesa di S. Giovanni fu lasciata a sé, rimase dismembrata e oggi è in maniera evidente inferiore e più piccola delle altre. La causa, secondo il Milj, è da attribuire alle diverse Signorie e Governi che si sono succeduti nel tempo.
Un evento che segnò la sorte di questa chiesa fu la distruzione per mano dei Saraceni, quando nella chiesa di S. Gemini furono ristabiliti i monaci. Ad essi, per volere dei vescovi diocesani e dell’Arciprete di San Giovanni, fu ceduta la metà della Parrocchia, salvo la giurisdizione Episcopale e quella dell’Arciprete nel Fonte Battesimale.
Al tempo in cui San Gemini divenne feudo del Conte Arnolfo, i suoi successori, i vescovi di Narni Dodone e Giovenale, costruirono il monastero di San Nicolò , stabilendo come Abate il monaco e prete Vitale di S. Vita. Anche i monaci di San Nicolò vollero che, salvo le giurisdizioni, l’Arciprete cedesse a loro la metà della Parrocchia rimastagli.
Sappiamo che nel 1346 la chiesa passò agli Agostiniani , per desiderio dei cittadini e del Mons. Agostino Tinacci di Altopascio, vescovo di Narni, appartenuto al loro stesso ordine.
Questa cessione fu riconfermata nel 1362 da Urbano V (1362/70). Secondo la cronaca sangeminese, i canonici e il vescovo si pentirono della cessione e cercarono di sciogliere il contratto, ma i frati ricorsero al Pontefice Martino V (1417/31) e riuscirono a rimanerne in possesso.
Nel periodo post-unitario i Comuni italiani furono oggetto di una ristrutturazione amministrativa, per la quale si rese necessaria l’acquisizione di spazi e strutture maggiori.
La legge del 21 agosto 1862 autorizzò il governo ad alienare, in favore dei Comuni, i fabbricati urbani di cui aveva bisogno. L’art 27 del regolamento approvato con R.D. 25 settembre 1862 impose alla Cassa Ecclesiastica di cedere ai comuni l’uso di edifici monastici necessari alla comunità per uso pubblico, dietro compenso. Con questa normativa il Comune di San Gemini ottenne, il 4 gennaio 1865, la cessione dell’uso anche del convento di San Giovanni Battista. Questo come anche altri edifici monastici destinati alla beneficenza e alla pubblica utilità, furono dichiarati definitivamente acquisiti dal Comune il 7 luglio 1866.
Gli unici dati certi che abbiamo di questa chiesa, si ritrovano nella sua stessa architettura e in ciò che essa contiene.
La facciata fu eretta nel 1199, gli architetti furono Nicola, Simone e Bernardo come testimonia la lapide a fianco al portale.
Altro dato certo è l’importanza che assume questa chiesa tra i Sangeminesi, che ne dà ricordo il pregio della facciata; e ancora è innegabile l’indecifrabilità dello spazio interno.
La facciata ben si relaziona alla datazione documentata in alcuni elementi, come la lunetta con ghiera robusta ed estradossata, come gli elementi cosmateschi o anche i leoni davanti al portale.
La discordanza si incontra in altri particolari , quali: la muratura sovrapposta al corso centrale, la lesena isolata a sinistra non avendo alcun riscontro nel lato opposto.
Questi elementi lasciano pensare che la costruzione della Chiesa sia avvenuta in modo discontinuo o non portata a termine. L’interno presenta interrogativi ancora più grandi.
Prima di tutto non si riesce a definire che forma abbia l’aula, il Milj parla di un’originaria forma ottagonale, divenuta poi esagonale per lo spostamento dell’entrata su un altro lato del corpo di fabbrica.
Questo cambiamento d’ingresso probabilmente fu a causa della frana , quindi solo per pochi anni fu utilizzata la facciata più antica.
Ritornando alla pianta, è evidente come sembri una forzatura parlare di una forma geometrica regolare, ma questo non fa altro che confermare, quanto i diversi interventi nel tempo abbiano mutato l’aspetto originario di questa architettura.
Sicuramente fino al 1427 fu l’unico luogo dove al popolo veniva ministrato il battesimo, ciò si ricorda, anche se non è una prova sufficiente, l’ipotesi che la Chiesa di San Giovanni ebbe inizialmente funzione di battistero, che alcuni collegano alla concavità del pavimento che avrebbe dovuto raccogliere le acque lustrali.
Se questa teoria fosse giusta, sorgerebbe, però un problema, l’intero edificio si sarebbe trasformato in una grande pozzanghera. Come è stato affermato, non è semplice la descrizione di questo fabbricato che sembra celebrare l’irregolarità.
Gli unici elementi che lo dividono sono due pilastri ottagonali dai quali parte la copertura con volte a crociera .
Ma entrando nella chiesa lo spettatore sembra non riuscire a capire quale direzione dover prendere, ogni parete è diversa dall’altra, sia in lunghezza che in sistemazione, ogni altare è diverso e nel loro stile barocco sono soprattutto discordanti con l’epoca a cui risale il monumento.
Anche i pilastri sono diversi: è più tardo quello posto nella campata a nord, anche perché tutta la zona nord risulta essere tarda dall’esame delle murature, che non ha registrato presenza di strutture medioevali. L’altro pilastro, quello vicino all’attuale ingresso non è precedente al XIV secolo.
Su di esso sono conservati due affreschi sovrapposti: una Crocifissione e un Cristo nel Sepolcro. Gli affreschi sono accompagnati dalla formula devozionale: “ Adoramus te Criste et benedicimus tibj quia per santam crucem tuam redemisti mundum”.
La scritta in minuscola gotica non è anteriore al ‘400, ed è una forma liturgica: l’adorazione della croce del venerdì santo.
Ritornando al discorso dell’irregolarità anche il pavimento risulta tale.
Dal portale all’attuale pavimento vi è un dislivello di 90 cm , che gli ultimi restauratori hanno cercato di ridimensionare attraverso la sistemazione di alcuni gradini.
Il materiale che sostiene il pavimento attuale fu recuperato dal crollo del tetto, che si presenta infatti eterogeneo e incoerente.
Un elemento di grande curiosità si trova all’interno del portale, dove, in un tardo pilastro, sbuca un inizio di arco.
Spostandoci di nuovo all’esterno dobbiamo concedere un po’ di attenzione alla facciata.
In alto notiamo una bifora non in asse con il portale sottostante e recentemente restaurata e integrata.
Il portale, invece è composto da una lunetta, il cui arco è decorato con motivi classici ed è sorretto alle imposte da due protomi umane. (nell’arte antica è elemento decorativo costituito dalla testa di una figura umana).
Gli stipiti e l’architrave sono arricchiti da decorazioni cosmatesche con motivi cromatici, attraverso l’uso di tessere di marmi di spoglio in forme geometriche. Ai piedi della cornice del portale stanno due leoni.
Elementi che appaiono isolati nel complesso della facciata sono la lesena sul lato sinistro, al di là della quale la struttura muraria risulta più tarda , e la finestrina transennata.
Sulla facciata di San Giovanni Battista, ai lati del portale sono conservate tre iscrizioni. Due sono più antiche, una risale alla fine del XI secolo, una all’antichità cristiana verso la fine del IV secolo.
Sappiamo che la facciata della chiesa fu eretta nel 1199, probabilmente in un momento molto prospero nella storia del castello e di San Gemini, a motivo dei nuovi rapporti con la chiesa romana e la politica di Innocenzo III.
In questo contesto la chiesa di San Giovanni si presentava come la più antica del castello, anche se esistevano altre chiese antiche come San Angelo, San Stefano e San Egidio, di cui oggi sappiamo ben poco.
Vi erano poi le due chiese conventuali, San Gemine e San Nicolò che però si trovavano al di fuori del castello. San Giovanni Battista era all’interno della cinta muraria e da molto tempo svolgeva la funzione di chiesa battesimale.
L’iscrizione del 1199 testimonia l’inizio della sua ricostruzione e dell’inserimento o reinserimento delle altre due iscrizioni più antiche.
Infatti nessuno può negare la possibilità che le due iscrizioni fossero inserite già nel precedente complesso, anche se questa ipotesi è più probabile per quella del 1084 e meno per quella del 373 d.C..
Non è da escludere nemmeno un collegamento tra le epigrafi e il complesso cimiteriale al di sotto del sagrato che coincide con il percorso della via Flaminia.
Nell’anno di erezione della facciata furono inserite le più antiche iscrizioni, con grande cura, a sinistra del portale, l’una accanto all’altra.
La più recente del 1199 fu posta a destra.
L’iscrizione del 1084 ha una funzione religiosa , quella del 373 sembra essere stata sottoposta a un restauro dell’angolo sinistro inferiore e a levigatura, sotto la cura e la direzione probabilmente di un prete di questa chiesa, un uomo del XII secolo che potrebbe essere stato incuriosito da tale epigrafe , per il carattere cristiano e per i sentimenti espressi.
Iscrizione del 373:
CARA.PIA.CONIUNX.YGUIA f
DEDITAQUE.MARITO f
FUNERIS.TUI.CUSA.TOTA f
NOS.MENTE.DOLEMUS
AETERNAMQ(UE) DONUM. COMINIENUS.AMANTIUS
PARAVI.NOBISQUE f
SANCTIQUE.TUI.MANES
NOBIS.PETENTIBUS.AD.SINT
UT.SEMPER.LIBENTERQUE
SALMOS.TIBIQUE.DICAMUS.
AURELIA.YGUIA.QUE.VIXIT.ANNIS.XXXVIII
MENS(IBUS)IIII.D(IEBUS)II.DEP(OSITA)DIE.PRID(IE)
KAL(ENDAS)MAIAS
VALENTINIANO.ET.VALENTE.AUG(USTIS)III.
<CO(N)S(ULIBUS>
Questa epigrafe ci testimonia di una famiglia di un certo livello sia sociale che culturale. L’anno è indicato dal quarto consolato congiunto degli imperatori Valentiniano e Valente. Al nome della giovane donna, Yguia è premesso il gentilizio Aurelia. Di questa donna ci vengono indicati gli anni, i mesi i giorni della sua vita e il tempo del suo matrimonio. Il marito Cominienus Amantius apparteneva a una famiglia attestata anche nel territorio di Carsulae.
L’iscrizione del 1084:
+ANNI AB INCARNATIO-
NE D(OMI)NI MILLE OCTUAGINTA
III. VI K(ALENDAS)OCTUB(RIS). OBIIT PETRUS
DE BONANTI
L’Epigrafe è incisa su un pezzo di marmo antico, ha tre fasce progressivamente aggettanti, la più sporgente è la superiore.
Il personaggio di cui parla, Petrus de Bonanti, non è sconosciuto; è già menzionato nel documento dell’aprile del 1059, come proprietario di una casa nel castello di San Gemini.
La lapide è stata ritenuta sepolcrale, ma così non è, perché altrimenti avrebbe dovuto in qualche modo far riferimento alla sepoltura cosa che non avviene. È invece una nota obituaria. In queste note spesso mancava l’indicazione dell’anno, ma non del giorno, per motivi religiosi, ai fini delle commemorazioni liturgiche.
È rara la registrazione dell’anno, come avviene in questo caso, ed è particolare che la nota obituaria non fosse registrata in un libro, ma assegnata a una epigrafe.
Possiamo dire che questa nota conserva la memoria di un benefattore della Chiesa di San Giovanni, forse anche di un personaggio di prestigio nella storia del castello.
L’iscrizione del 1199:
+ANNI D(OMINI).MILL(E).C.LXXXXV
III.M(EN)SE AP(RI)LIS.TE(M)PORE INNOCE<N>TII
P(A)P(E).III.SI SAPIS UT VALEAS MULTA DO-
LENDA FERERES.NO(N) EGET EXTERI-
US QUI MORIBUS I(N)TUS HABU(N) DAT.NO-
BILITAS SOLA EST ANIMU(M).QUE MORI-
BUS ORNAT.PASSIBUS A(M)BIGUIS FO®TU-
NA VOLUBILIS ERRAT.ET MODO LE-
TA MANET MODO SINIT ACERBOS
TA®DA SOLET MAGNIS REBUS INE(SS)E FI-
DES SET P(RE)STA(N)-
DA E(ST)SINE TE-
STE FIDES.NI-
COLA.SMO(N).
ET BERNAR-
DUS HOC OPUS
I(N)CEPERU(N)T NU-
LLUS VERO
TARDUS
L’iscrizione è incisa su due pezzi di marmo di uguale altezza ma di disuguale larghezza che danno luogo a due colonne di scrittura.
Nell’anno 1199 i tre artisti Nicola, Simone e Bernardo cominciarono quest’opera cioè il portale e la facciata. Gli elementi musivi che decorano l’opera fanno pensare all’ambiente dei marmorari romani.
Non si può concludere la trattazione della chiesa di San Giovanni senza dare un cenno al pregevole fonte battesimale che, proprio a causa della sua presenza nell’umido ambiente della chiesa subì grandi danni alla struttura poi restaurata nel 1995.
Il fonte è costituito da due elementi sovrapposti: la vasca lustrale in travertino, con forma circolare, sostenuta da una colonna sulla quale è scolpita nel basamento la data 1582; e la copertura, costituita da un prisma a pianta esagonale in noce, con cupola poligonale decorata con intagli.
I lati del prisma sono delimitati da lesene con motivo a treccia, concluse da testine di putti aggettanti.
All’interno di una cornice a dentelli, su ogni lato dell’esagono, si apre una nicchia sormontata da un timpano e da un drappeggio appeso ad anelli.
Al di sopra della trabeazione si sviluppa un raffinato e articolato fregio vegetale.
Elemento di collegamento con la cupola è l’attico a balaustrini con piccole mensole e volute, poste agli angoli dell’esagono.
L’alta cupola è alleggerita da un intaglio ad embrici interrotto da costolature lisce, che si raccordano ad un rialzo esagonale all’esterno e circolare all’interno, sembra essere la base d’appoggio di un terzo corpo.,
il manufatto è basato sulle proporzioni del “Tempio ideale”. La costruzione geometrica e le relative misure portano quasi sempre al numero 3 e ai suoi multipli.
Ad esempio sul cappello della trabeazione è incisa una stella a 6 punte con 6 triangoli, nell’attico esagonale ci sono 66 balaustrini e nella cupola 396 moduli ripetuti, 66 per ogni lato.
Non si dispone di abbastanza fonti documentarie per risalire alla committenza dell’opera. Invece per la datazione si fa riferimento all’anno inciso sulla base in travertino, che si accorda con lo stile degli intagli, molto diffuso nella produzione artistica lignea in Umbria, come nei cori e nei portali, durante tutto il XVI secolo, in particolare nella seconda metà del secolo.
La chiesa di San Giovanni Battista presenta i seguenti altari di stile barocco:
Altare dedicato alla Madonna del Rosario prima metà del 1600. Dipinto attribuito a Benedetto Bandiera. Tale pala è condotta su tre livelli, secondo i canoni tipici della pittura “‘riformata” umbra ancorata ai modelli arcaici quali il Perugino e il giovane Raffaello, essa mostra al livello più basso, in primo piano i nobili committenti in preghiera dietro ai quali si accalcano altri giovani membri della famiglia e la figura del Pontefice , con gli occhi rivolti in alto dove la Madonna incoronata da due angeli, e il Bambino sono intenti a donare il rosario a San Domenico e a San Caterina da Siena. I personaggi raffigurati in primo piano sono i committenti che di solito facevano realizzare l’opera come ringraziamento per una scampata epidemia o per una vittoria militare. Si tratta dei Duchi di San Gemini forse Giovanni Antonio II Orsini (duca di San Gemini nel 1590)e consorte oppure Ferdinando duca di Bracciano che sposò la figlia di Giovanni Antonio, forse per questo fu qui rappresentata con la corona accompagnata dai loro due figli
Altare della Madonna Incoronata. Consiste in una grande macchina lignea policromata e dorata, ed una scultura lignea, raffigurante l’incoronata. Nasce originariamente nella chiesa di San Francesco da dove viene smontata e qui trasportata verso la metà del 1900. Per la qualità degli intagli e degli ornati e per la pregnanza architettonica dell’insieme l’opera deve essere ricondotta ad esempio di ambito tuderte tra il quarto e il quinto decennio del secolo XVII. Nella nicchia centrale, sormontata da altra testina alata e da superiore corona, vi è la statua lignea dell’Incoronata. L’opera lignea nel suo insieme risulta semplificata e dotata di un abbigliamento più sobrio e lineare. Ciò anche in conformità al soggetto, la cui inocografia risponde ad un passo dell’Apocalisse che descrive Maria come la “nuova Eva” riparatrice dal peccato: “vestita di sole, con la luna sotto i piedi e sul capo una corona di stelle”. La provenienza di questo altare dalla chiesa di San Francesco avvalorerebbe la datazione dell’opera, in quanto l’ordine francescano fu il primo ad adottare la festa della Concezione di Maria nel 1263. Gravi e consistenti le perdite di elementi decorativi, le più recenti costituite dal furto di due piccoli putti dorati posti ai lati della nicchia, del viso di cherubino ai piedi di questa, era un altro cherubino alato affiancato da soggetti floreali nella specchiata al di sotto della grande cornice centrale. Le più antiche, invece, rappresentate dall’asportazione degli interi sistemi decorativi ad altorilievo di contorno alla nicchia e della superficie centrale bassa compresa tra i basamenti delle colonne.
Altare dedicato alla Madonna della Cintola (Giovanni battista Manna). La Madonna della cintola è infatti un tema tipicamente agostiniano spesso collegato anche alla presenza di una confraternita di Santa Monica. La Cintola, o cintura, fu adottata da Monica , in seguito ad una rivelazione mariana, già ne IV secolo, in seguito dal figlio Agostino, convertitosi al cristianesimo grazie alla madre. I due patroni dell’ordine sono rappresentanti mentre ricevono rispettivamente dalla Vergine e dal bambino Gesù la cintura di pelle, emblema degli eremitani. Agostino come vescovo di Ippona (Africa) è rappresentato con un ricco priviale indossato sopra il saio con la mitra tenuta da un chierico. Santa Monica con l’abito scuro vedovile. L’altra agostiniana di sembianze giovanili posta in piedi sotto a Santa Monica e’ identificabile per la presenza dei simboli della passione con Chiara da Montefalco non ancora canonizzata. La religiosa porge la cintura dell’ordine con una mano ad una giovanetta riccamente abbigliata e acconciata e con l’altra ad una nobildonna inginocchiata in primo piano vestita con ancor di più ricco abito broccato caratterizzato da una rosetta e da un giglio emblema della famiglia Orsini che dal 1530 aveva avuto il feudo di San Gemini. La nobildonna doveva essere particolarmente devota a Santa Chiara da Montefalco da farsi effigiare mentre riceve da lei il simbolo di una confraternita della quale è patrona. Completa la scena il bambino che gioca con il cagnolino posto in primissimo piano quasi al centro della composizione recando con sé una cesta di frutta di caravaggesca memoria e due angeli che suonano il liuto a 13 corde e un’antenata della moderna arpa. Tutto mira a far immaginare il miracolo alla presenza della nobildonna committente dell’opera e dei suoi due figli, in una sobria e festosa atmosfera paesana allietata dal suono di strumenti musicali dalle sonorità delicate e angeliche.
Tullo Bertozzi realizzo’ nel 1948 la pala dipinta su tela raffigurante Santa Rita da Cascia inginocchiata in preghiera di fronte al Crocefisso. La tela originaria era quella dell’estasi di Santa Rita del 1700 conservata nel Duomo di San Gemini
Si vede una iconografia abbastanza rara di Santa Caterina che porge a Cristo il calice con l’ostia. Si spiegherebbe la presenza della colomba dello Spirito Santo alla sommità dell’altare riconducendo la presenza della confraternita del Sacramento Nel 1946 Bertozzi dipinge il catino absidale della chiesa di San Gemini raffigurazioni la Madonna della Pace in trono con San Francesco e San Caterina. Tra i soggetti dell’affresco il Pittore ha raffigurato sua sorella e alcuni abitanti di San Gemini.
Testi a cura del Dott. Paolo Petroni