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Notizie Storiche

Nei pressi di Palazzo Vecchio, lungo la via Casventino, vi è una chiesa dalla forma e dal nome singolare: Santa Maria de Incertis.

Per quanto riguarda il nome, ci aiuta a chiarire le idee una riformanza del 10 settembre 14021, che fa riferimento a riparazioni da eseguire a “Santa Maria de Cincerchiis”, da parte dell’Abate di S. Nicolò, Pietro di Benvegnate da Narni, che voleva dotarla anche di sacrestia.

Incertis-Cincerchiis, l’assonanza è evidente, anche se non può essere usata come prova sufficiente per eliminare ogni dubbio sull’identificazione tra i due nomi, sta di fatto che sembra si stia parlando proprio della stessa chiesa.

Si presume che in origine fosse una loggia pubblica di supporto a Palazzo Vecchio, ospitante un’edicola con l’immagine della Madonna, e strutturata con una serie di arcate aperte lungo la via principale del paese, di fronte al Palazzo Comunale e alla Piazza.

La costruzione dovrebbe risalire alla seconda metà del XIII secolo, fu Cappella dei Priori senza mai rivestire il titolo di Parrocchia.  In questo edificio di culto era tradizione il 9 ottobre, festa del patrono Gemine, trasferire dalla chiesa di San Gemini il cero offerto dal Comune.

In documenti posteriori viene citata come “Santa Maria de Palatio o de Platea2 e a volte con il nome di “Santa Maria de Incertis”.

Nel XIV secolo è stata intitolata a San Carlo, dopo che nella chiesa ebbe officiato San Carlo Borromeo.

L’altra ambiguità è nella forma della chiesa. E’ composta da un vano rettangolare, disposto con l’asse maggiore parallelo a via Casventino ed è a unica navata. Si entra attraverso una porta praticamente uguale a quella lì accanto murata. Perfettamente in simmetria, a destra e a sinistra della coppia di porte, vi sono due finestre tamponate.

Un po’ più distante si trova una porta, anch’essa murata, con arco rialzato a scarico di un architrave , decorato con un motivo formato da una serie di portali monofori architravati ed altri a doppio arco, intervallati da motivi floreali, databile tra l’XI e il XII secolo.

Rappresentano delle aggiunte tarde, le due finestre chiuse con una cornice laterizia, di tipo frequente nel XVIII secolo a San Gemini. Le arcate che ritroviamo nella facciata sono tra le migliori in San Gemini e differiscono dai pilastri, formati da grossi massi di spoglio, forse carsulani.

Complessivamente la facciata appare di grande raffinatezza, soprattutto per quanto riguarda le finestre, le quali hanno la luce ridotta per due mensole che sporgono dagli stipiti e sorreggono l’architrave monolitico. Su questo vi è un archetto ribassato , la cui parte centrale è formata da una pietra sola , tagliata ad arco, poggiata all’estremità su due sostegni passivi. Quindi l’arco non ha alcuna funzione propria dell’elemento architettonico, in quanto è monolitico , pesante e non spingente. La raffinatezza è inoltre conferita anche dalla composizione perfettamente simmetrica inusuale in quel tempo.

Osservando l’edificio esternamente, non si pensa ad una chiesa, nulla suggerisce la destinazione religiosa.

Quando si accede all’interno, ritroviamo in una stanza rettangolare e a primo impatto, ancora nulla ci indica di essere in un locale di culto, fin quanto non voltiamo lo sguardo verso nord, verso la parete di fondo, in corrispondenza con la terza porta (quella architravata con pietra carsulana e più lontana delle altre) qui possiamo ammirare un nobile baldacchino cuspidato in muratura.

L’Edicola è impostata alla gotica per le sue sagome acute, è sostenuta da due colonne di spoglio di fattura duecentesca, che tolgono leggerezza alla struttura , per questo l’opera risulta inferiore alla facciata.

Il baldacchino accoglie l’altare sorretto da una parte di colonna con capitello romanico.

A destra della fronte vi è un frammento di scultura romana ornata da girali d’acanto.

Sappiamo che durante la prima metà del XV secolo la chiesa fu decorata di affreschi.

Particolare è quello incluso nel baldacchino, in basso ha una ripartizione in riquadri episodici, con diverse dimensioni dei santi raffigurati: S. Antonio Abate, S Giorgio a cavallo che uccide il drago (XV Sec. )3, S Bernardino e due vescovi.

In particolare il San Bernardino fu probabilmente dipinto tra la morte del santo, nel 1444 e la canonizzazione, nel 1450, infatti ha il capo irraggiato dalla gloriola e non dall’aureola propria dei canonizzati. Ha poi caratteri ritrattistici particolari, insoliti al tipo iconografico adottato successivamente. Sembrerebbe opera di un pittore che ha conosciuto il santo da vivo, per questo l’affresco assume un importante valore per la storia iconografica.

Opera di un diverso autore è il S. Antonio Abate, risalente al XIV secolo, che si distingue per la durezza del disegno e del colore.

In alto vi è una scena lunettata, resa ancora più solenne dal baldacchino.

È raffigurata la Madonna con Bambino assisa in trono, incoronata da angeli musicanti, in primo piano ci sono le S.S. Caterina d’Alessandria e Lucia. Nella parte inferiore vi è un distico devozionale alla Vergine, in caratteri di gotico minuscolo di tipo libraio, che concluderebbe con la citazione dell’esecutore, un Certo Maestro Domenico.4 L’intera scena è racchiusa da un’elegante cornice floreale. Si tratta di una rappresentazione di Corte in linguaggio tardo gotico, come suggeriscono alcuni particolari, quali il trono, la pedana, i motivi floreali , i caratteri dell’iscrizione, la rigidità delle forme il verticalismo della composizione.

La scena è bloccata dalle schiere di angeli che fiancheggiano il trono e soprattutto dall’angelo in alto, che definisce ancora di più l’asse centrale.

La Vergine viene incoronata tre volte, alludendo così al potere temporale di cui poteva essere investito il committente.

Si è notato, in seguito al lavoro di pulitura dell’opera, l’intervento di due esecutori diversi per le due schiere di personaggi, infatti il gruppo di sinistra si distingue per la vivace fisionomia.

A sinistra dell’edicola, isolato in un riquadro, è un frammento di “Crocifissione” parte di un affresco più grande del XV secolo.

Sulla parete sinistra, all’interno di una nicchia, contornata da una cornice in pietra serena, è affrescata una Madonna in trono con Bambino tra i SS. Stefano e Sebastiano, negli intradossi sono poi raffigurati i SS. Ansano e Vincenzo Ferrer separati da una decorazione vegetale.

Sia nella scena centrale, come in quelle laterali, l’allineamento frontale dei personaggi, sullo sfondo di un drappo appeso alla parete, le singole fisionomie rispondenti ai canoni iconografici, danno all’opera un valore fortemente devozionale.

Le forme sono bloccate, i corpi rigidi, le soluzioni di alcuni particolari, come il trono, dure e geometriche, il tutto frutto di una cultura semplice e popolare.

Le rappresentazioni più singolari sono quelle di Sant’Ansano e San Vincenzo Ferrer. Sant’Ansano prende l’aspetto di giovane elegante, quasi un personaggio di vita di corte e reca nella mano sinistra lo specifico attributo della trachea e dei Polmoni.5

San Vincenzo Ferrer, subito riconoscibile, non solo per l’abito domenicano, per il volto senza barba, ma soprattutto per la scritta leggibile sul libro aperto: “Timete Deum et date illi Honorem, quia venit hora iudicii eius”.

Più che un’esortazione è un comando, che ben si addice al gusto del santo, che alza l’indice della mano destra come ammonimento, infatti San Vincenzo Ferrer fu considerato nella sua missione “l’Angelo dell’Apocalisse”.

Intorno al suo capo splende il nimbo, segno dell’avvenuta canonizzazione. Fu beatificato il 29 giugno 1455 da Callisto III poi canonizzato da Pio II nell’ottobre del 1458, quindi l’affresco deve ritenersi posteriore a questa data.

Non è facile però stabilire una data, in quanto mancano documenti e iscrizioni dedicatorie, che indichino il committente e per quale evento si realizzò l’affresco.

Siccome vengono messi in risalto i SS. Stefano e Sebastiano, il primo noto per le doti di taumaturgo, e il secondo per essere invocato in periodi di pestilenza, si ipotizza che l’opera sia stata commissionata per chiedere protezione o ringraziare per uno scampato pericolo.6

Testi a cura del Dott. Paolo Petroni

Note

[1] ⇑ Ref. C 37, f. 208-210.

[2] ⇑ “Sanctae Mariae de platea ante palatium praedicti Communis “ in “Statutorum terrae S. Gemini libri quinque” Roma 1568, 16 (1 34).

[3] ⇑ Riporta la scritta San Georius, per il Nessi l’immagine fu successivamente identificata con San Gemini.

[4] ⇑ DUM VENERIS ANTE FIGURAM PRETEREUNDO CAVE NE SILEARIS AVE. / MAGNIFICI DOMINI IUSTINI.

[5] ⇑ Lo Gnoli in “Pittori e miniatori dell’Umbria” attribuisce il Sant’Ansano al Maestro del Trittico di Arrone datandolo al 1487.

[6] ⇑ L’opera fu restaurata nel 1960 da Lanciotto Fumi per conto della Soprintendenza ai Monumenti e alle Gallerie dell’Umbria.

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